La morte e la vita, dove si incontrano?

La mia riflessione ha inizio con la morte improvvisa di un giovane ragazzo, che mi riporta ad un articolo di Carlo Crocella, Dov’è, o morte, la tua vittoria?, apparso su Appunti di viaggio 6/2003.

La morte rappresenta la nostra più grande paura, forse l’archetipo stesso della paura. Tuttavia, raramente siamo disposti ad ammetterlo. Io, ad esempio, dico di non temere la morte, quanto la sofferenza, oppure: ammetto di aver paura di morire prima di aver fatto tutto quello che sento di dover fare, non voglio morire finché non ho realizzato questo o quel sogno, e così via…

Tutto questo per riconoscere che come essere umano ho difficoltà (terrore) di staccarmi dalle mie passioni, emozioni, conquiste e via dicendo.

Poi, nel mio insegnamento “cristiano”, ho sempre sentito dire, quando qualcuno muore: “Il povero… se n’è andato, ci ha lasciati!”

Come mai povero, se ha raggiunto un traguardo o, per meglio dire, un fulgido punto di partenza?

Come possiamo dire povero ad un ragazzo che ha finito prima degli altri il suo compito in classe, o i suoi esami? Chi finisce presto il suo lavoro è povero?

Ho avuto nella mia vita la fortuna di avvicinarmi alla meditazione e la possibilità di comprendere - solo superficialmente - che io non sono completamente il mio corpo, non sono completamente i miei pensieri, non sono completamente le mie passioni e innamoramenti; ma posseggo in me un filo rosso che guida la vita per permettermi, se voglio, passaggi di consapevolezza, che per il mio modo di essere passa inevitabilmente attraverso la sofferenza.

Se fossi più “semplice di cuore”, farei più attenzione alle azioni quotidiane che passano inosservate, come per esempio, il lavoro di chi prepara del cibo buono per nutrire la sua famiglia, o chi non ne ha, senza pensare alla fatica che comporta questo lavoro, aggiunto al lavoro fuori casa. Potrei continuare ad elencare ancora migliaia di cose invisibili che si manifestano ogni momento, ma che sono state soppresse nella coscienza, per dare spazio alla realizzazione di qualcosa che è fuori di noi: denaro, prestigio, successo.

Oggi, giorno delle “ palme”, giorno del trionfo, della pace, ma contemporaneamente inizio della settimana di passione, ho sentito la necessità di trovarmi nel giardino che tanto ho desiderato e per cui ho lavorato in queste ultime settimane. Ho contemplato la bellezza, senza sentire la proprietà delle piante e della terra, ed ho avuto la percezione di quel filo di energia di luce e di vita che si esprime in ogni cosa. Non ho sentito la bellezza di aver realizzato un giardino, ma la bellezza nella natura.

L’energia del sole che risveglia i dormienti, l’energia della terra che spinge le piante a crescere e a dischiudersi, l’energia vitale che fa intravedere i boccioli nella loro specificità:colore,forma e profumo; l’energia che ne fa essere viventi utili, anche nelle guarigioni del corpo e dello spirito.
Prima che tutto questo si manifestasse nel giardino, ogni cosa era morta, e ogni pianta temeva di morire quando l’ascia o la falce le ha staccate dal loro punto di legame alla terra.

La paura è parte integrante di ogni essere vivente, è una realtà che non va mai sottovalutata o evitata; anzi facendo i conti con la paura si può trovare una nuova possibilità di incontro con la vita.

Credo che ognuno di noi abbia provato in occasione della perdita di persone care, momenti di sconforto o disperazione e momenti di profonda pace, che secondo la mia esperienza, fanno sempre parte di quel filo che ci lega dalla nascita e per l’eternità alla vita.

Concetta Brachino
nel Giornalino dell'Associazione
aprile 2009, pagina 4
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