Due parole sull'enneatipo 2

Mi riconosco nel carattere o enneatipo due, che nel “vizio o passione” è orgoglio, e nella “virtù” è umiltà.

Ho preso questi due punti per andare a ricercare nelle mie azioni quotidiane quegli automatismi che fanno sì che io sia non l’azione della mia vita, ma nella reazione del mio carattere. In pratica quel modo di fare e di essere che automaticamente entra in atto nella relazione senza consapevolezza, lasciando così nello sfondo il mio io vero, fino ad essere convinta che il mio modo di fare e di comportarmi è la mia vera natura e non la risposta a una sovrastruttura, nata sì da un bisogno, in questo caso di stima, ma pur sempre sovrastruttura e non il mio essere vera.

Il carattere o enneatipo due è chiamato anche l’aiutante.

I tipi due come me comunicano una quantità di approvazione e di stima tali da aiutare gli altri a credere nel proprio valore.

Questa sembra una buona qualità e molto spesso lo è, perché noi due tutto questo lo facciamo di cuore, ma non per gli altri, per noi stessi, gli altri sono lì perché noi possiamo riconoscerci come persone da “stimare” attraverso quello che facciamo, tralasciando totalmente quello che siamo.

La grande tentazione del tipo due consiste nell’aiutare continuamente gli altri sfuggendo, così, a se stesso.

La nostra identità sta nei desideri e nelle esigenze altrui, fino a pretendere che gli altri abbiano bisogno di noi, e se non lo fanno “ci arrabbiamo!”.

In questa situazione vi assicuro che il mondo e la vita non sono rosa, ma le dipingiamo così, perché se “sono positiva” tutti mi vedono migliore, ma nel cuore c’è un buco nero e una paurosa inquietudine.

Siamo un punto sicuro per gli altri che si vogliono appoggiare, ma non siamo assolutamente capaci di appoggiarci o peggio ancora affidarci agli altri. Con questo sentire il buio è totale perché ci si trova nell’incapacità d’amare, totalmente chiusi all’amore che ci può venire dagli altri fino a credere che “io ho il potere di bastare a me stessa “, “io sono potente!”.

Con questa nuova consapevolezza, quando si inizia a riconoscere che il carattere non sono io, o si comincia a lasciare per quanto è possibile la razionalità e le resistenze per affidarsi al proprio cuore, in modo di riconoscere volta per volta quando il carattere parli per me, per incominciare ad essere aiutante di se stessi, o… Non ci rimane che “ammalarci” più o meno gravemente, ed imparare a sentire il bisogno di essere accuditi, compresi, amati, attraverso l’esperienza del contatto riconoscere il bisogno di dare a noi stessi quello che diamo agli altri, di amarci direttamente senza passare per gli altri.

Questo non è facile perché la nostra vita interiore è un magma di sentimenti opposti.

Allora, che fare? Spesso diciamo “va’ dove ti porta il cuore”, ma io credo che a volte non sia sufficiente, perché nel cuore sono contenuti, secondo me, l’acqua e il fuoco, desideri tra loro contrari, forse dati dalla nostra natura umana e divina.

Bisogna imparare ad ascoltare questi desideri e riconoscerli come parte di sé, avere l’umiltà di dirsi in onestà, “non sono capace” di comprendere cosa mi stia succedendo e cos’è amore per me, non è vero che posso farcele da sola, chiedere aiuto, lasciando in secondo piano il protagonista che è in me e tutto quello che comporta l’essere in primo piano, l’essere i “primo violino”, il riferimento.

Quando si arriva a sentire che dentro di noi sono contenuti la durezza della pietra e la fluidità dell’acqua, è arrivato il momento di imparare a desiderare veramente il bene per noi e iniziare a discernere e scegliere.

Il bene e il male non è nelle cose o peggio ancora negli altri, ma nelle mie azioni. Posso servirmi di loro per crescere in libertà o in schiavitù.

Quante volte abbiamo sperimentato che le cose fatte in nome del bene hanno prodotto male, anzi peggio?

A noi tipi due, con il nostro bisogno di aiutare e dare splendore alla vita. Questo succede senza essere consapevoli!

Per gli altri siamo i bravi, gli affidabili, gli onesti, in altre parole quello che gli abbiamo fatto credere con il nostro comportamento, mettendoci completamente al servizio del nostro carattere, facendoci usare dal carattere, per avere di ritorno stima e poterci riconoscere attraverso di loro, usandoli.

Solo nella consapevolezza del mio modo d’essere io sono riuscita a comprendere che posso essere “servita” dal mio carattere invece di essere a sua disposizione, in questo modo ho intravisto una via d’uscita: la strada “dell’umiltà”, cioè l’accettazione che io sono così, brava? splendente? Schiava delle mie azioni? Non posso fare altro che riconoscerlo e accettarlo senza giudicarmi, la verità è che questo mio carattere mi è servito per crescere e vivere meglio possibile la mia vita e giudicarlo male mi porta soltanto ad allontanarmi da me. Non riconoscere che in tutti questi anni ho vissuto molto spesso bene, mettendomi in gioco in prima persona anche in modo non “scorretto”, ma pur sempre con i limiti della mia umanità più che con la bontà del mio carattere.

Tutto questo mi fa sentire calore nel cuore e non pensieri razionali di valutazione, proprio per questo sentire sono più in pace.

Gli altri e le cose sono come sono, e soprattutto il loro compito non è quello di essere aiutati e talvolta cambiati da me per soddisfare il mio desiderio di essere brava, buona e stimabile per essere amata.

Invece noi due abbiamo bisogno d’imparare ad esporci all’altro con onestà, senza trucchi e in semplicità, imparare a ricevere il dono dello scambio e dell’amore, senza la necessità di essere i migliori, comunicare veramente come siamo, senza soddisfare un modo di essere ma l’Essere; unico modo per ritrovare la stima in noi non attraverso nelle cose che facciamo, così da poterci affidare un po’ più naturalmente alla relazione e all’amore, unica cura per vivere una vita di salute completa.

Concetta Brachino
nel Giornalino dell'Associazione - aprile 2005
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